Serafino Valla, nato a Casoni di Luzzara nel 1919, primogenito di Antonio Valla e Beniamina Musi, dopo una vita intessuta di drammatiche vicende ma confortata dalla passione per l'arte e la filosofia, è deceduto quasi centenario a Reggiolo nel 2014. Sin dalla prima infanzia la sua vita è stata contrassegnata da un continuo peregrinare perchè il padre, di professione casaro, sbagliando sistematicamente le forme di formaggio, veniva licenziato ed era sempre alla ricerca di un altro caseificio disposto ad accoglierlo. A causa di questo modo di vivere, il figlio iniziava la classe in un paese e la terminava in un altro. Trovarsi a frequentare una doppia scuola con due diverse maestre, non avendò inoltre la solidità di amicizie durature, è stato per lui un intralcio notevole che causò numerose ripetizioni che lo portarono a finire la quinta elementare a Luzzara, a quasi quindici anni. Nella scuola si sentiva sempre isolato. I compagni, ritenendolo un po' strano, lo escludevano dai giochi. Per uscire da questo accerchiamento, si avvalse della sua facoltà di esprimersi con le immagini, un linguaggio figurativo nel quale sintetizzava pensieri e sentimenti. Provava una grande gioia quando la maestra appendeva i suoi disegni alle pareti dell'aula. Divertiva poi i suoi compagni facendo spettacoli con burattini di legno da lui stesso intagliati. Ma, più che con i compagni, preferiva trascorrere il tempo camminando tra i campi o lungo l'argine del Po, il grande fiume che rappresentava per lui un mistero. Dove le cose andavano peggio fu nella sua stessa famiglia, principalmente in quanto il padre, ritenendolo figlio illegittimo nonostante fosse a lui molto somigliante, maltrattava per gelosia la moglie, mentre percuoteva ed emarginava il figlio. Il contrasto si accrebbe per competizione nella produzione del formaggio grana, con l'utilizzo di tecniche moderne da parte del figlio e con fallimentare metodo tradizionale da parte del padre.

Esasperato dalla situazione continua e duratura di conflitto col padre, il giovane Serafino nel novembre del 1938 si arruolò volontariamente nell'Esercito e partecipò nel 1940 ai combattimenti sul fronte francese, mentre, nel novembre del 1941, partecipò con il C.S.I.R. alla campagna di Russia. Fu ferito da una bomba ad una gamba e venne trasferito all'ospedale di Bucarest dove, grazie a cure efficaci e all'avanguardia, gli salvarono l'arto lesionato dall'incubo dell'amputazione. Rientrò a Luzzara in convalescenza. Fu la sua fortuna perchè se non fosse stato ferito sarebbe morto di freddo, di fame o per un colpo di arma da fuoco come accadde per tanti suoi commilitoni. Nella vastità delle steppe russe era rimasto incantato dai paesaggi, che riprodusse su quaderni, aiutandolo ad estraniarsi dalle terribili circostanze. Nel dopoguerra continuò a lavorare nel settore caseario prima in famiglia, dove però i conflitti che lo avevano portato all'arruolamento erano rimasti invariati, e successivamente a Milano per qualche anno come venditore di formaggio. Ritornato nella sua Luzzara, accanto al Po, e poi successivamente a Reggiolo, dove andò sposo a Belledi Clementina nel 1955, con la quale gestì un newgozio di generi alimentari, trovò quella tranquillità e quella pace che gli permisero di dedicarsi alla pittura e alla scultura.

Scriveva anche 'massime', le quali vennero pubblicate ed apprezzate dai docenti in filosofia Lando Orlich e Franco Canova. Espose inizialmente i suoi quadri sotto i portici del Caffè Sport di Luzzara affinchè fossero visti e giudicati direttamente dalla gente del posto. Casualmente passò Cesare Zavattini che, ammirato, si soffermò a lungo a un tavolo con lui e, conosciuta la sua storia, gli disse: "Ma tu Valla ne hai passate più di me ..."


La sua attività artistica si andrò intensificando, facendosi apprezzare anche internazionalmente. Citandone alcuni ricordiamo l'accettazione e la premiazione al Concorso Nazionale dei Naifs di Luzzara in diverse edizioni, la partecipazione a esposizioni a Reggiolo, Guastalla, Suzzara, Bussolengo, Bologna, Parma, Reggio Emilia, San Benedetto Po, Mantova, Camaiore, Viareggio, Lecco, Milano, Varenna, Foggia, Carpi, Messina, Napoli, Gualtieri, Bagnolo San Vito, Moglia, Zagabria, San Polo, Brescello, Zurigo, ecc... Opere di Valla si trovano nel museo di Luzzara, in Jugoslavia, Svizzera, Francia, Spagna e Olanda. Una sua testimonianza si trova sul libro di Sandro Spreafico: "Il mito, il sacrificio, l'oblio". I documentari cinematografici "La Ballada" di Walter Marti (1980 Zurigo) e "I lupi dentro" di Raffaele Andreassi (1991 Roma) rappresentano momenti della vita e dell'arte di Valla. Il suo diario è custodito nell'Archivio Diaristico Nazionale a Pieve Santo Stefano, Arezzo. Hanno scritto su Valla: Cesare Zavattini, Dino Menozzi, Nevio Iori, Marzio Dall'Acqua, Dino Villani, Alfredo Gianolio, Giorgio Crema, Lando Orlich, Ottavio Sacco, Guido Mazzarella, Giovanni Negri, Walter Marti, Fritz Billeter, Franco Canova, Anna Maria Pedretti, ecc...
Citiamo infine questa osservazione di Valla quale sintesi della sua poetica: "Le teste chine dei miei quadri sottolineano che l'uomo deve guardare in se stesso per avere le esatte proporzioni delle espressioni di tutto ciò che lo circonda".